Ancip sul lavoro portuale

lavoratori porto

ROMA – Ancip Associazione Nazionale Compagnie Imprese Portuali – interviene in una nota sul tema del lavoro portuale.

«Abbiamo letto con interesse e attenzione l’articolo scritto dall’ avv.to Santini. Delle tante cose che questo riporta certamente condividiamo il fatto che a suo tempo il legislatore, nell’impostare la nuova normativa, ha inteso tutelare sia i lavoratori ma anche lo strumento dell’ex Compagnie Portuali. Questa non fu una scelta casuale ma fu oggetto di una profonda analisi e di una articolata discussione politica e tecnica. Ci fa un po’ pena chi si preoccupa della tutela dei lavoratori se questa nasce da forme paternalistiche che presuppongono che il lavoratore in sé sia un soggetto debole che deve essere guidato e accompagnato da terzi. Già all’epoca della legge, ma soprattutto oggi, esistevano gli strumenti che tutelavano il lavoro ed i lavoratori, questi si chiamano contratti, si chiamano leggi, si chiamano organizzazioni sindacali si chiamano istituti e si chiamano tribunali.

Tutelare quindi il lavoratore non è un regalo che viene fatto dall’imprenditoria generosa, ma è un atto che deriva dalla Costituzione della Repubblica Italiana e che va perseguito in assoluto. Paradossalmente, oggi come sempre, i lavoratori dell’articolo 17 sono tutelati anche nei confronti dello strumento ex Compagnie Portuali nel momento in cui questo  venisse meno ai compiti ai doveri di un datore di lavoro.

Se a suo tempo fu scelto di tutelare oltre che il lavoro anche la forma di questo, è dovuto al fatto che oggi come allora si riconosceva alle ex Compagnia Portuali, così modificate, un profondo valore di capacità di servizio e di utilità allo sviluppo del porto. Non alla conservazione di privilegi ed abitudini sbagliate bensì alla capacità di anticipare e programmare le necessità del mercato nella forma che sempre più velocemente fin da allora veniva richiesta, questo si chiamava e si chiama autogestione dei lavoratori.

Questo ha garantito gli imprenditori che hanno potuto scegliere se avere dei dipendenti diretti o utilizzare una sorta di fornitura del lavoro che non era solo lavoro, ma anche conoscenza e, soprattutto, condivisione delle responsabilità e degli obiettivi e partecipazione ai problemi quotidiani che da sempre il lavoro nei porti presenta.

Questa formula ha funzionato dappertutto? No. Ci dispiace che le critiche arrivino proprio da quelle esperienze che hanno dato la prova peggiore. La storia dell’ex compagnia portuale di La Spezia si è chiusa in modo inglorioso già ben prima della riforma. Non sta a noi valutare le motivazioni che hanno condotto quella realtà alla rissosità e all’autodistruzione, ma sicuramente non può essere assunto come modello della portualità nazionale.
Nulla da ridire contro lo strumento del comma 5 che è stato voluto dal legislatore proprio per intervenire in assenza della possibilità di istituire il comma 2. Non a caso tutti i commi 5 esistenti sono il risultato di risposte date a situazioni complesse e spesso sbagliate nei vari porti.

Benvenga una situazione come quella di Trieste dove si è rimediato con un comma 5 all’inefficienza ed all’assurda proliferazione di articoli 16 spuri in guerra fra di loro. Ciò è successo anche grazie alle capacità e alla lungimiranza di grandi esperti di portualità come Zeno D’Agostino e Mario Sommariva.
In altri porti sono nati degli pseudo commi 5 frutto del dramma provocato dall’abbandono e dal licenziamento di centinaia e centinaia di lavoratori che erano stati assunti da imprenditori che hanno ottenuto benefici millantando sviluppo e che se ne sono andati lasciando sulle spalle della comunità e a carico dello Stato le persone prive di stipendio e di occupazione.

Dove il 17 comma 2 funziona e dove la collettività portuale ha saputo capirne l’importanza e il valore questo ha rappresentato la miglior scelta possibile effettuata da “imprenditori” che certamente non hanno nulla da imparare e che sono riusciti a perseguire utilità, sviluppo e profitto senza comunque infrangere le regole del mercato e ottenendo economia di scala e soprattutto flessibilità nei momenti di crisi che mai come in questo periodo (pandemia e guerra insegnano) sono stati uno dei più grossi problemi dei porti.

Ulteriore valore aggiunto della formula di 17 comma due è dato dal fatto che i lavoratori si sentono non solamente dipendenti e strumenti dell’efficienza di un porto ma protagonisti di questo. Ogni lavoratore dell’articolo 17 si sente un po’ padrone del porto e se questo qualche volta può dare adito a minime difficoltà, alla resa dei conti significa che questi lavoratori hanno a cuore certamente il loro stipendio certamente la loro condizione di lavoro certamente la salute loro e della famiglia ma soprattutto tendono allo sviluppo e al successo del porto in cui lavorano. Questo fa parte del loro DNA, fa parte della loro storia e della cultura. Non è un caso che in tutti i porti spesso il lavoro si tramandi di padre in figlio da generazioni con un attaccamento alla banchina e alla stiva che non ha uguali. Il lavoratore quando è solo dipendente vede spesso prevalere l’interesse dell’individuo rispetto a quella della comunità come ci ha insegnato purtroppo la vicenda di Trieste al momento del covid.
In conclusione, siamo convinti che le opportunità che la legge consente vadano utilizzate tutte. Quindi sì all’articolo 17 comma 2, comma 5, al lavoro dipendente e al lavoro interinale tutelato, ma nessuno può dire che uno strumento o l’altro siano inefficienti o superati.
L’efficacia di un porto nasce dalla giusta miscelazione di tutti questi ingredienti e dal dosaggio opportuno della professionalità, delle risorse, delle culture e delle esperienze che contraddistinguono tutti i porti italiani».

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