Rapporto annuale Srm “Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” di Srm

di Giovanni Grande
 
NAPOLI – Sono almeno cinque mesi che Suez registra tassi di crescita a doppia cifra.
Nei primi nove mesi dell’anno sono transitate ben 668 milioni di tonnellate di merci (+9,8%) e quasi 13mila navi.
 
I primi effetti del raddoppio del Canale cominciano a manifestarsi.
Con essi un’interessante evoluzione delle rotte intercontinentali e una ritrovata centralità del bacino del Mediterraneo, attraverso cui passa ormai il 25% dei servizi container e il 30% del traffico petrolifero, di cui si è parlato a Napoli, alla presentazione del rapporto annuale “Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo” di Srm, il centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo.
Giunta alla settima edizione la ricerca conferma come negli anni passati la rilevanza economica dell’area: Ue e paesi MENA (Middle East and North Africa) mettono insieme la quota di Pil (19.157 miliardi di dollari) più grande al mondo.
 
Un piatto ricco che i grandi player dello shipping non vogliono farsi sfuggire. Complici le economie di scala possibili con il gigantismo navale e la riduzione dei tempi di transito permessa dall’adeguamento del Canale di Suez si sta aprendo infatti un interessante ed inedito mercato per i collegamenti Cina-USA: alla traversata solitaria per il Pacifico sarebbe preferibile la rotta che passa per il Mare Nostrum, con la possibilità di accedere ai suoi ricchi mercati manifatturieri ed energetici, per poi proseguire oltre Gibilterra.
 
Un ribaltamento sostanziale delle tradizionali connessioni che fa il paio con la variazione, questa si clamorosa, di un altro fattore. Sebbene tallonati dappresso dai dinamici porti della sponda Sud gli scali mediterranei dell’arco settentrionale (spagnoli, francesi, italiani) hanno cominciato ad erodere il primato in termini di competitività del Northern Range.
 
Una dinamica – spiega Massimo Deandreis, direttore generale Srm – registrata soprattutto nell’ultimo biennio. Staremo a vedere nei prossimi anni se diventerà davvero strutturale”.
Ma quali sono le caratteristiche che uno scalo dovrà rispettare per essere attrattivo in contesto sempre più affollato, in cui la Cina, all’interno dell’iniziativa della Via della Seta, impegna nell’area circa 27 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali e la Germania, con il suo nuovo Piano Marshall per l’Africa, si segnala per un rinnovato attivismo geopolitico?
 
La risposta fornita dal rapporto è chiara: incentrare i nuovi modelli portuali sul connubio tra industria e logistica. Se l’efficienza delle imprese dipenderà da questo anello della catena non basterà più guardare solo alla crescita dei traffici.
 
Bisognerà promuovere nuovi asset – sottolinea Alessandro Panaro, responsabile dell’area di ricerca Maritime & Mediterranean Economy di Srm – “i più importanti dei quali riguarderanno l’innovazione e le start up, l’internazionalizzazione, formazione e academy. Oltre a elementi più tradizionali come l’intermodalità, il marketing territoriale e le free zone”. Per queste ultime sarà fondamentale la presenza di un polo finanziario a sostegno delle imprese, oltre a “un’analisi seria sui settori da incentivare e un piano di sviluppo che preveda risorse per il marketing della zona a livello internazionale”.
Sulla questione è intervenuto anche il ministro per la Coesione Territoriale, Claudio De Vincenti, che ha fatto il punto sull’iter legislativo sull’istituzione delle ZES . “Stiamo mettendo a punto il decreto per la delimitazione delle zone. Ad oggi è la Campania la regione più avanti nella creazione di un unico sistema che prevede la presenza di porti e interporti: un trapezio della logistica incentrato su Napoli, Salerno, Nola e Marcianise. Le Zes saranno istituite solo su questi quattro vertici che però faranno da riferimento per tutto il tessuto economico regionale. L’obiettivo – conclude – è mettere in moto un sistema produttivo a tutto tondo attraverso investimenti in infrastrutture significative”.

 

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