de Crescenzo (Confetra Mezzogiorno): “Assetto logistico e questione meridionale”

Domenico deCrescenzo

L’assetto logistico e la questione meridionale  – Domenico de Crescenzo, coordinatore della Confetra Mezzogiorno interviene con alcune riflessioni sul futuro di Napoli e del Mezzogiorno.

«La logistica costituisce il vettore della modernizzazione» – scrive il coordinatore della Confetra Mezzogiorno  – «Senza il suo apporto decisivo la globalizzazione non si sarebbe potuta determinare nelle forme che conosciamo, con processi di delocalizzazione così intensi e spinti. Siamo passati, nel breve volgere di due decenni, dalla prevalenza della logica distrettuale, con unità produttive connesse entro un perimetro geograficamente limitato, alla fabbrica mondo, un reticolo di relazioni tra clienti e fornitori su scala globale.

La logistica è stata il tessuto connettivo della globalizzazione ed il fattore strategico di vantaggio competitivo che ha trasformato la gerarchia delle concorrenza tra industrie e territori. Mentre prima la logistica era una funzione servente della produzione, essa ha costituito il vettore principale della modernizzazione.

Noi non l’abbiamo compreso, in Italia e nel Mezzogiorno in particolare. Abbiamo creduto di poter mantenere le nostre posizioni di vantaggio competitivo indugiando su un modello industriale che non poteva tenere rispetto ai cambiamenti imposti dalla logica emergente dei mercati, che era caratterizzata dalla costruzione delle catene globali del valore. Ci siamo arroccati nella conservazione dello stereotipo distrettuale della piccola e media impresa, quando nel mondo tornavano a comandare le grande aziende multinazionali.

Sono oltre 140.000 le grandi conglomerate che guidano i processi di riconfigurazione dei mercati, e che dettano legge nella articolazione delle catene globali del valore, attraverso uno spietato meccanismo di concorrenza interna tra fornitori che schiaccia i margini di profitto delle piccole e medie imprese per allargare i margini di profitto alla piramide alta della organizzazione produttiva.
La logistica costituisce il mastice delle catene globali del valore e rappresenta l’arte più avanzata del processo di produzione.

La Germania ha perfettamente compreso le linee di tendenza che andavano maturando, e di conseguenza ha investito nella logistica, nella ricerca e sviluppo, nell’economia della conoscenza. Noi ci siamo invece attardati sulla difesa delle aziende in crisi, abbiamo preferito cristallizzare un modello di sviluppo ormai inadeguato, e ci siamo adagiato su un plateau di stagnazione della ricchezza prodotta e della produttività totale dei fattori.

Non abbiamo capito che le infrastrutture e le connessioni erano il crocevia della trasformazione, e che l’economia dei trasporti era diventata geopolitica e geostrategia. La discussione si è fermata sulle singole opere infrastrutturali, senza un disegno di sistema. Se non si comprende dove si vuole andare, inevitabilmente non si capisce di quali infrastrutture abbiano bisogno.

Il Mezzogiorno ha così da un lato perso la presenza delle grandi aziende pubbliche nei settori di base (chimica e siderurgia), ha perso l’intervento straordinario, ed è rimasto senza bussola strategica, privando anche l’Italia di una direzione di marcia.

Il Mediterraneo non è soltanto il nostro orizzonte, ma anche la prospettiva necessaria dell’Europa. Abbiamo perso quella bussola, quando, a fine degli anni Ottanta del secolo passato, l’asse comunitario si è spostato ad est, per effetto della riunificazione tedesca, mentre il Mediterraneo è restato solo il mare delle migrazioni. Intanto prima la Cina, con l’acquisizione del porto del Pireo e la costruzione delle infrastrutture in Nord Africa, e poi la Turchia e la Russia, con la presenza militare nel Mare Nostrum, ci hanno ricordato che il Mediterraneo è il cuore strategico delle connessioni, che concentra oltre un quarto del traffico marittimo mondiale.

L’Europa ancora non sta reagendo con un proprio strategia, ed anche il Next Generation EU rischia di essere, da questo punto di vista, un passaggio a vuoto. Nel regolamento che ha istituito il Recovery Fund era prevista la possibilità che diversi Paesi europei potessero presentare progetti congiunti di interesse comune. Non è successo, ne’ per il Mediterraneo ne’ per altro tema. Siano ancora una Europa che è sommatoria di Stati e non una federazione di popoli. Proprio sulla logistica e sulla prospettiva mediterranea su gioca un pezzo di futuro decisivo dell’Europa.

In questo contesto il Mezzogiorno può giocare un ruolo significativo; con Le ZES che possono diventare un’opportunità. Lo snellimento delle procedure autorizzative previste all’interno delle ZES, tempi celeri e soprattutto certi nell’ottenimento delle autorizzazioni sono alcune delle condizioni basilari sulle quali costruire un percorso di “appetibilità” economica delle realtà portuali del Mezzogiorno; a partire dai suoi porti. Gli scali marittimi infatti costituiscono la cerniera delle cerniere, perché connettono i trasporti di lunga percorrenza con il corto raggio e con il territorio. Visto che siamo a Napoli, utilizziamo l’esempio del nostro porto per svolgere qualche considerazione di carattere generale

Il porto di Napoli è la macchina industriale e logistica più rilevante della Regione, deve essere soggetto produttivo di strategie economiche.
Con la pandemia questo fenomeno è ancora più visibile:la logistica è stata la cerniera vitale della resilienza, ed oggi è il cuore pulsante della possibile ripresa. I cicli della politica sono in Italia parabole di lunghissimo periodo, incompatibili con i tempi del mercato.

È bastata una nave incagliata nel Canale di Suez per mandate in tilt il sistema logistico internazionale. Viaggiamo con uno stock di prodotti che hanno una durata massima di cinque giorni, e dobbiamo sincronizzate i nostri orologi in questo breve lasso di tempo.

Viviamo una realtà logistica italiana a rimorchio, in quanto non possediamo player nazionali di dimensione europea e mondiale. Nel nostro stesso Paese, se prendiamo la graduatoria dei primi 10 operatori logistici che operano in Italia, sono due sono italiani, e si collocano al sesto ed all’ottavo posto della classifica. Gli altri sono tutte multinazionali della logistica, che governano il nostro ciclo logistico, anche perché la nostra industria vende prevalentemente franco fabbrica, assegnando la gestione del valore aggiunto logistico agli operatori internazionali.

Prima ancor di occuparci delle infrastrutture, che pure sono importanti, dovremmo mettere in campo una politica industriale della logistica, che è stata parte fondativa della strategia tedesca di rafforzamento della competitività, attraverso le acquisizioni di DHL e di Shenker da parte rispettivamente delle poste e delle ferrovie tedesche.

Un paese che non dispone di una rete di connessioni e di servizi di collegamento competitivi per il tessuto industriale perde la sua battaglia ancora prima di combatterla. Incentivare l’industria italiana ad utilizzare la vendita franco destino e lavorare per il consolidamento di attori logistici nazionali competitivi sui mercati internazionali costituiscono due assi strategici di intervento.
Senza un modello di politica industriale della logistica lo sforzo di potenziamento delle Infrastrutture sarà solo parziale è destinato a non consolidare tutti i benefici possibili per il tessuto economico.

Quanto agli investimenti sulle reti si continua ad inseguire la nostra arretratezza, piuttosto che progettare il nostro futuro. I nodi della rete vanno·interconnessi in modo efficiente per favorire l’intermodalita’ e la qualità delle infrastrutture deve essere tale da migliorare la struttura di costo. Pensiamo al rapporto tra porti e rete ferroviaria, che ancora oggi è appesantito dal costo delle manovre, e dai limiti di portata della rete nazionale, che non consente nel Mezzogiorno nemmeno l’esercizio di treni con 750 metro di lunghezza, mentre oggi in Europa, ma in parte anche nel Nord Italia, viaggiano convogli superiori ai 2.000 metri, con effetti facilmente immaginabili sulla struttura del costo per tonnellata trasportata.

Non tenere la barra dritta sulla programmazione decisa è una delle malattie italiche: si ricomincia sempre d’accapo, e così si realizza davvero poco, considerati tutti gli altri vincoli che pure ora in parte sono stati rimossi.
Continuiamo a esercitare un atteggiamento dove c’è sempre tutto da rifare. Così si perde solo del gran tempo, ed i nostri porti sono la fotografia di un museo di archeologia industriale.

Intanto il mondo procede a tappe forzate, soprattutto verso la digitalizzazione: ormai la blockchain non è una aspirazione ma una realtà, che consente di risparmiare almeno il 15% dei costi amministrativi e burocratici dei trasporti.
I porti italiani sono nati nel cuore delle città, verrebbe da dire. Ma è una affermazione sbagliata: sono le città ad essere nate attorno al porto. Già questa precisazione conferma il dialogo storicamente difficile che si è instaurato tra gli scali marittimi ed i centri urbani. La lotta si è svolta sostanzialmente attorno alla occupazione ed al presidio degli spazi, sostanzialmente replicando nel tempo la sindrome del Muro di Berlino.

Le moderne tecnologie ci consentono oggi di ricorrere facilmente ad uno sguardo dall’alto, utilizzando un drone. E allora la visione diventa inevitabilmente unitaria, e consente di elaborare qualche proposta capace di guardare avanti, verso il futuro.
Gli indicatori economici ci segnalano,al netto del Covid-19,un calo del PIL del Mezzogiorno del 6% negli ultimi 10 anni a fronte di una crescita del paese del 2.4% e di una media europea del 11.7%.

Purtroppo l’evidente marginalizzazione del Sud del Paese è testimoniata, da alcune cifre drammatiche che citiamo a titolo esemplificativo e non esaustivo:
-Tasso di disoccupazione al 18% che continua a crescere.
-Percentuale di NEET(non occupati né in formazione) al 33% contro il 22% del resto del paese.
-Costo del denaro per le aziende del Mezzogiorno è del 50% piu’ alto rispetto al resto del paese.
Non c’è piu’ tempo per i proclami,bisogna agire senza indugio. L’evidente carenza infrastrutturale è uno dei maggiori freni a qualsiasi politica di sviluppo,occorre ripensare integralmente alle infrastrutture in una logica di vera e propria politica industriale.
Conclude de Crescenzo «Il nostro evento Agorà, a cui partecipano esponenti di spicco del mondo politico, universitario e tecnico, ci auguriamo che dia degli spunti e delle idee per il miglioramento del nostro amato mezzogiorno».

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