Messina: Tracciare una Via italiana alla Via della Seta cinese

Stefano Messina

All’Annual Meeting dell’Associazione, il presidente Stefano Messina chiede un cambio di rotta all’Europa, ma anche la messa a punto di una formula italiana per essere protagonisti e non soggetti passivi sulla “Via della Seta” lanciata dalla Cina

ROMA – Il più grande fallimento dell’Unione Europea? La politica marittima e una politica per il Mediterraneo. L’atto di accusa porta la firma di Assarmatori, l’Associazione che raggruppa armatori italiani e internazionali con prevalenti interessi in Italia.
Secondo Stefano Messina, presidente dell’Associazione e che ha illustrato oggi a Roma in occasione dell’Annual Meeting le linee strategiche dell’Associazione, la Commissione uscente di Bruxelles, salvo rarissime occasioni, non si è mai occupata in modo razionale della politica del mare e ciò nonostante che per Paesi come l’Italia sulle navi e attraverso i porti transiti più dell’80% dell’interscambio commerciale.

Le conseguenze sono state drammatiche e hanno accentuato in modo palese le distorsioni di trattamento a favore dei Paesi del Nord Europa. Un esempio per tutti: l’Unione Europea eroga  finanziamenti predominanti alle compagnie che collegano porti del Mar del Nord e del Baltico con la motivazione che uniscono, anche con distanze minime, porti di diversi paesi comunitari, ma non riconosce analogo trattamento all’Italia, né per i collegamenti marittimi nazionali lungo una penisola che è commercialmente ben più strategica, né su quelli con Paesi mediterranei extra UE, nei confronti dei quali sarebbe oggi più che mai indispensabile una politica di coesione.
Per Assarmatori il cambio di rotta è un’emergenza alla quale la nuova Commissione UE non potrà sottrarsi. E in questo senso l’Associazione degli armatori le cui compagnie associate controllano più di 450 navi e che rappresenta una concentrazione mondiale di navi traghetto per passeggeri e merci, auspica anche la scelta di un italiano per il ruolo di Commissario europeo ai Trasporti.

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Ma esiste anche una seconda motivazione forte per un’inversione di rotta: La Silk & Road Initiative, ovvero la Via della Seta lanciata dalla Cina, con un investimento globale di 8.000 miliardi di dollari, rappresenta un’opportunità unica per spostare verso sud l’asse degli scambi in Europa, rilanciando i porti italiani. Secondo Stefano Messina, l’Italia ha il dovere di imporre una “VIA ITALIANA” a alla Via della Seta cinese. Ciò significa che i porti vanno dragati, connessi a una rete ferroviaria moderna che trasporti contenitori di ultima generazione, e gli investimenti in infrastrutture vanno sbloccati subito.

La Cina è un’opportunità, ma vorrei ricordare ai nostri amici cinesi – ha affermato Messina – che qui in Europa vigono le regole dell’economia di mercato.  Sia il Governo nazionale che le Istituzioni Europee esercitino dunque le loro prerogative per proteggere gli operatori già attivi in questo mercato da quelle iniziative che non rispettano le regole che ben conosciamo, a partire da quelle che vietano gli aiuti di Stato ovvero pregiudicano gli interessi del Paese nell’esercizio delle proprie infrastrutture strategiche”.

Assarmatori si è candidata quindi a promuovere da subito “un tavolo permanente politica-industria-shipping che indichi le regole del gioco nel quadrante dei trasporti e delle infrastrutture”. “C’è bisogno che il Governo – ha sottolineato il presidente di Assarmatori – tracci un’efficiente e armonizzata “VIA ITALIANA” alla Via della Seta. Da quel tavolo, in tempi strettissimi, dovranno uscire indicazioni di priorità sulle infrastrutture funzionali, sui tempi della loro realizzazione, ma anche sulle politiche commerciali e fiscali che l’Italia intende adottare”.

Assarmatori ha anche puntato il dito contro la cronica sottovalutazione dell’importanza dei trasporti marittimi e dell’industria del mare sottolineando come questo comparto valga circa il 3% del PIL italiano (dati Unioncamere); in termini di valore ciò significa 45 miliardi di euro e lavoro a oltre 880 mila italiani; considerando  l’effetto indotto sul resto dell’economia il fatturato dell’industria del mare balza a circa 130 miliardi di euro e a titolo di esempio, l’automotive si ferma a 93 miliardi di euro.

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