Confitarma: Hormuz nevralgico per le importazioni energetiche, effetti di eventuali chiusure

Hormuz
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ROMA  – Nel 2024, l’interscambio nazionale complessivo con i Paesi del Golfo Persico ha superato i 22 miliardi di euro, con 13 miliardi di export e 9 miliardi di import, confermandone, almeno per l’export che registra un +14% sul 2023, il peso crescente nelle relazioni economiche dell’Italia con i Paesi Extra-Ue. Per il nostro Paese lo Stretto di Hormuz rappresentia, pertanto, un punto nevralgico. E’ la fotografia scattata dallo studio realizzato dal Centro Studi di Confitarma: “Analisi interscambio commerciale Italia – Area del golfo Persico”.

“Non si tratta solo di una rotta marittima, è un crocevia strategico da cui transita il 100% delle nostre importazioni energetiche da tutti i Paesi del Golfo Persico che non hanno altra via di commercio se non attraverso lo Stretto di Hormuz” – così il direttore generale di Confitarma Luca Sisto.

Appare evidente come eventuali rallentamenti o addirittura chiusure dello Stretto di Hormuz avrebbero effetti immediati importanti sulla logistica, sull’approvvigionamento energetico e sulla stabilità delle nostre relazioni commerciali con partner che non dispongono di alternative.

Per questo Confitarma è impegnata a tutti i livelli nel sostenere e stimolare le azioni per il rafforzamento della resilienza marittima e diplomatica del nostro Paese. Ciò non rappresenta più un’opzione, ma una necessità.

Lo stretto di Hormuz è un passaggio cruciale non solo per l’Italia.

Come è noto attraverso l’area transita circa l’11% di tutti i volumi commerciali marittimi globali. Questo include: il 34% delle esportazioni di petrolio via mare, il 30% delle esportazioni di GPL, il 20% del commercio di GNL, il 18% del commercio di prodotti chimici, il 7% del commercio di automobili, 3% del commercio globale di container, il 2% del commercio di rinfuse solide.

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“I transiti giornalieri delle navi attraverso lo Stretto di Hormuz” – ha sottolineato Luca Sisto – “hanno registrato una media di 144 al giorno nel 2025, il 37% dei quali erano di petroliere, il 17% di portacontainer, il 13% di navi portarinfuse”.

Con specifico riferimento ai traffici di prodotti energetici, la flotta mercantile controllata dall’industria armatoriale italiana, potenzialmente interessata ai traffici che vengono effettuati nell’area, ammonta a circa 80 unità (Chemical/Products Tanker e Crude Oil Tanker) per circa 4,3 milioni di tonnellate (Dwt – portata lorda) rinfuse.

Nonostante la chiusura dello Stretto di Hormuz continui a essere considerata uno scenario improbabile – date le potenziali conseguenze geopolitiche più ampie con gli Stati Uniti e altri paesi mediorientali, le incertezze sulle capacità dell’Iran e il fatto che le esportazioni di petrolio greggio dell’Iran (principalmente destinate alla Cina) verrebbero interrotte – sussiste comunque il rischio di interruzioni o attacchi su piccola scala e la necessità di organizzare, ad esempio, convogli scortati o transiti diurni con inevitabili ritardi.

Senza dimenticare che la questione Houthi nel Mar Rosso non è risolta e che, anzi, hanno minacciato di rinnovare gli attacchi alle navi collegate agli Stati Uniti in caso di escalation del conflitto.

“La situazione in queste aree di crisi merita tutta la nostra attenzione, anche in relazione alla sicurezza dei nostri equipaggi in caso di un eventuale aggravamento dei rischi” – ha concluso il direttore di Confitarma, secondo il quale “ci conforta in tal senso il ritorno dell’Italia al comando della missione Aspides a partire dal 1° luglio. La presenza della Marina Militare Italiana rappresenta un presidio fondamentale in questo momento delicato”.

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