Il Rapporto sulla competitività dei settori produttivi – Edizione 2021 presentato dall’Istat, analisi elaborata da Confetra. Il rapporto fornisce alcune prime misurazioni degli effetti economici della pandemia, sebbene l’evoluzione dell’emergenza sanitaria, il cui superamento è ancora incerto, impedisca di formulare una valutazione complessiva delle conseguenze sul sistema produttivo italiano.
Il Rapporto del 2020 è centrato sulle conseguenze per l’economia italiana, e in particolare per il sistema produttivo del nostro Paese, della pandemia da Covid-19. Il tema è affrontato da tre prospettive diverse: macroeconomica (evidenziando i riflessi della pandemia sul ciclo italiano anche attraverso confronti internazionali), mesoeconomica (focalizzandosi sull’impatto settoriale delle chiusure amministrative) e microeconomica (esaminando l’eterogeneità degli effetti pandemici sul sistema delle imprese).
Il perdurare della crisi sanitaria, ha prodotto effetti diversificati sulle imprese, quasi un terzo delle imprese considerava a rischio la propria sopravvivenza, oltre il 60% prevedeva ricavi in diminuzione mentre solo una su cinque riteneva di non aver subito conseguenze dalla crisi.
Gli effetti della crisi hanno delineato differenze su base territoriale, anche a causa dell’applicazione delle misure di contenimento della pandemia diversificate a seconda della Regione.
L’analisi si è avvalsa di un indicatore del grado di rischio combinato dei settori in termini di imprese e addetti che permette di evidenziare come la crisi tenga ad accentuare il divario tra le aree geografiche del nostro Paese.
Quadro Macro economico
I dati internazionali relativi al 2020 evidenziano la diversità dell’impatto esercitato dalla crisi. Eccezione fatta per la Cina, che nel secondo semestre ha pienamente recuperato i livelli di attività precedenti la pandemia – registrando una crescita del +2,3% – Tutte le altre economie hanno evidenziato una fase di recessine.
Nel dettaglio:
Stati Uniti (-3,5%)
Europa tra il -11% della Spagna e il -4,9% della Germania
Area euro: i Flussi di commercio estero in Europa: hanno avuto flessioni significative sia in import che in export.
Domanda estera netta per la crescita del Pil: Negativo per tutte le principali economie dell’Area euro, con un impatto meno accentuato per l’Italia -0,8% e la Germania -0,9 rispetto a Francia e Spagna (-1,5 e -1,9 punti).
Mercato del lavoro: diffusa riduzione dell’occupazione che solo lentamente, e in misura parziale, ha alimentato la disoccupazione, mentre ha causato in prevalenza un’uscita dalle forze di lavoro.
Commercio internazionale: dinamiche differenziate tra i principali protagonisti con in particolare un rafforzamento del ruolo della Cina e delle economie asiatiche.
Export italiano:
L’Italia, pur avendo registrato un forte calo delle esportazioni, che ha riguardato quasi tutti i principali mercati di destinazione, il nostro Paese è riuscito a mantenere o aumentare le quote di mercato in alcuni paesi dell’Ue − quali Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi, Irlanda − e al di fuori dell’Ue, in particolare Cina e Svizzera; si è invece indebolita la posizione relativa negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
I settori produttivi
La flessione ha riguardato in maniera generalizzata tutti i settori, ma e stata particolarmente ampia nei settori dei prodotti petroliferi (-34,7%) e nella filiera tessile abbigliamento-pelli (tra -16 e -25%)
Servizi
Sui servizi la divaricazione è molto accentuata, i settori più colpiti risultano essere quello di alloggio e ristorazione, quello delle agenzie di viaggio e quello dei trasporti e magazzinaggio . All’interno di questi macro settori ovviamente si riscontrano andamenti molto eterogenei: trasporto aereo (-60%), trasporto marittimo (-40%) e poste e corriere (+4,4%).
Impatto e capacità di reazione alla crisi
A livello d’impresa l’eterogeneità degli effetti prodotti della crisi è massima: impatto e capacità di reazione dipendono da elementi strutturali, orientamenti strategici, grado di competitività raggiunto in passato. Di questi fattori occorre tenere conto, perché ciascuno di essi contribuisce alla resilienza delle imprese e alle possibilità di ripresa dei diversi segmenti del sistema produttivo.
Dimensione imprese
La crisi ha colpito in misura prevalente le imprese di piccola e piccolissima dimensione: la quota di unità che a fine 2020 si riteneva a rischio chiusura passa dal 34% nella classe 3-9 addetti all’11% in quella di 250 addetti e oltre. Il 45% delle imprese con almeno 3 addetti è a rischio strutturale, solo l’11% è solido. Nell’industria è a rischio il 33% delle imprese mentre nei servizi il 50%.
Regioni
L’analisi ha presentato diversità tra le regioni settentrionali e meridionali del Paese: nel Mezzogiorno le imprese sono mediamente più piccole, meno produttive e meno aperte ai mercati internazionali, mentre la quota di addetti impiegati in settori a elevato contenuto tecnologico o di conoscenza è minore rispetto al Centro-nord.
Questo mette in luce delle sei regioni che risultano ad alto rischio combinato, cinque appartengono al Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al centro (Umbria). Mentre le sei regioni classificate a rischio basso sono tutte localizzate nell’Italia settentrionale.