di Lucia Nappi
PORTONOVO (ANCONA)- Nella bella cornice di Portonovo sul monte Conero, alle porte di Ancona, si è appena conclusa la 70° Assemblea Nazionale di Federagenti platea dalla quale il presidente della Federazione Agenti Raccomandatari e Mediatori Marittimi nazionali, Gian Enzo Duci, ha lanciato a tutto il cluster marittimo il decalogo “SBLOCCA MARE”. In tutto dieci proposte per cercare di sbloccare il sistema dei porti italiani.
Idee o proposte che a guardar bene “non hanno niente di innovativo”, specifica il presidente di Federagenti (Video intervista), “sono cose che da tempo andiamo dicendo”. Del resto la platea a cui si rivolge è quella del cluster marittimo, a partire dagli agenti marittimi nazionali accolti da Andrea Morandi, presidente della Associazione Agenti Raccomandatari e Mediatori Marittimi di Marche e Abruzzo. Nel panel dei relatori ci sono gli armatori: Mario Mattioli presidente di Confitarma, Stefano Messina, presidente di AssArmatori, il comandante generale Capitanerie di porto – Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino, il direttore marittimo di Ancona, ammiraglio Enrico Moretti, il presidente dell’Autorità portuale dell’Adriatico Centrale Rodolfo Giampieri insieme agli altri esponenti di spicco del cluster marittimo.
Nella magistrale analisi, come consuetudine, che Duci offre alla platea, ci sono cifre di un sistema marittimo e portuale italiano sostanzialmente stabile da dieci anni, riguardo ai numeri complessivi in tonnellate di merci movimentate. Mentre negli ultimi 40 anni il traffico mondiale delle merci continuare a crescere. I dati del traffico globale parlano chiaro: nel 1980 circa 3 miliardi di tonnellate di merce movimentata, che diventano 6 miliardi nel 2000 e arrivando a 12 miliardi di tonnellate nel 2018. A differenza di questo andamento il sistema Italia rimane fermo sugli stessi numeri.
Il decalogo pertanto propone delle iniziative che consentano al sitema portuale e marittimo italiano di riagganciarsi allo sviluppo globale. “Per fare questo è necessario rendere più veloce il flusso delle merci che, una volta toccato terra devono essere velocemente portate fuori dai porti. “Se questo non dovesse avvenire il nostro sistema non avrà margini di crescita” specifica Duci.
Tra le proposte del decalogo, fondamentale, portare a compimento le opere e i progetti già avviati. Tra questi, per esempio, il progetto “ultimo miglio ferroviario” finanziato per 100 milioni, ma anche il Regolamento delle Concessioni demaniali, fermo alla Legge 94 del 1984 e che genera in Italia un sistema portuale difforme da porto a porto. Poi ci sono le modifiche normative come la legge sui Dragaggi.
La prima proposta del decalogo segue la logica di una pianificazione dello spazio marittimo nazionale, con la creazione di una figura di coordinamento politico delle diverse competenze, attualmente suddivise su diversi ministeri. La direzione è indicata anche dalla applicazione della direttiva comunitaria che entro il 2020 impone all’Italia tale sistema di .pianificazione.
Se Duci propone il cluster marittimo risponde, e il decalogo lanciato per sbloccare o per provocare gli astanti trova le risposte del cluster.
L’ammiraglio Pettorino, richiama all’idea di una figura di coordinamento politico forte, ritornando sul tema del passato ministero del Mare, frantumatosi nei tre dicasteri attuali (MIT, Ambiente e Pesca)
Stefano Messina, si dice sostenitore della riforma portuale del 2016, portatrice di vantaggi superiori agli svantaggi, sebbene con argomenti ancora da affrontare e da riprendere da parte del governo. Evidenziando poi che l’Italia è il primo paese, per quanto riguarda le Autostrade del mare, con la flotta di traghetti ro-ro più importante al mondo.
Secondo Mario Mattioli, l’errore che l’Italia continua a commettere è la mancanza di una pianificazione, continuando pertanto ad inciampare, “nella mancanza di riuscire a fare sistema” – “E’ necessario essere un cluster unito, anzichè ognuno portare avanti la propria idea” chiosa Mattioli. Non tutti convengono sull’argomento, qualche sguardo intorno di chi vorrebbe dire. L’altro rappresentante degli armatori italiani, Stefano Messina, vorrebbe forse dire qualcosa in merito, ma la discussione va avanti.
E’ la volta di Mauro Coletta, direttore generale del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il tema è quello della mancanza dei fondi per portare avanti lo sviluppo di settori strategici. Parla pertanto di un “Comitato che deciderà su cosa succederà sulle coste italiane, portato avanti in maniera eroica” dall’ammiraglio Andrea Agostinelli. Coletta interviene su alcuni dei temi sollevati dal decalogo del presidente di Federagenti, Le concessioni, i dragaggi e la burocrazia. Il problema della Pubblica amministrazione, dice Coletta “è la mancanza di modernizzazione”, programmi nuovi che non ci sono, personale che manca. “Sono riuscito ad avere 4 ingegneri” la notizia è di quelle straordinarie, se non fosse che a parlare fosse il direttore del Mit. Insomma se volessimo fare dell’ironia ci verrebbe in mente il titolo di un film dell’Italia ritratta nel dopo guerra, dalle caricature di Alberto Sordi e Monica Vitti: “Bambole non c’è una lira”.
A questo punto la platea è pronta per affrointare il piatto forte, i due giornalisti Gian Antonio Stella e Luca Telese che vengono intervistati da Duci. I temi sono: la burocrazia buona, cattiva e frammista alla politica, un melting pot in grado di arenare un qualsiasi ingranaggio.
“Se si chiudessero le attività dei porti in Italia, dopo 30 giorni il paese si fermerebbe” specifica Duci ai due giornalisti, questo non arriva all’opinione pubblica, alla stampa, se non di settore, ma ciò che è peggio è un messaggio che non arriva alla politica, ai vari governi che, messi sotto la lente di ingrandimento di Gian Antonio Stella, a guardar bene nessuno di loro ha mai pronunciato la parola “porto o porti”, nella accezione plurale. Anche qui ci sarebbe da fare dell’ironia, ma non c’è il tempo perchè Telese è pronto a dissacrare una classe politica, specchio dei tempi, con una formazione arrabattata messa li un po per caso, se di formazione si può parlare. A partire dalla dog sitter del cantante Fiorello (la Meloni) allo “sfigato napoletano”. Altri i tempi, ricorda con rammarico il giornalista Telese, in cui la politica si esprimeva con personaggio di altra levatura, formazione e capacità di dominare la scena per diversi decenni.