Napoli: Politiche dei trasporti in italia

Container porto
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Convegno Sipotra  (Società italiana di politica dei trasporti).
 
di Giovanni Grande
 
NAPOLI–  Le scelte strategiche sulla portualità e la logistica soffrirebbero in Italia di un peccato originale: non fissano una priorità tra gli obiettivi di interesse settoriale, aumentare il valore aggiunto prodotto del comparto trasporti, rispetto a quelli di interesse generale, ovvero l’aumento di competitività del sistema produttivo italiano nel suo complesso.
 
Ne deriverebbero una serie di criticità. Prima tra tutte l’uso di preziose risorse finanziarie per il rilancio degli “impianti esistenti” in luogo di una “urgente e radicale realizzazione di impianti adeguati a catturare catene logistiche globali sui sentieri di costo minimo che passano per l’Italia”.
 
L’intervento di Paolo Costa, ex presidente dell’Ap di Venezia, al convegno “Le politiche dei Trasporti in Italia”, con cui la Società italiana di politica dei trasporti (Sipotra) ha presentato a Napoli il suo Rapporto 2017, non smentisce la fama controcorrente del personaggio.
In mancanza di correttivi – spiega Costa– “la portualità italiana è destinata a perdere quote di mercato contendibile se non si attrezzerà per garantire un volume di attività due-tre volte superiore a quello attuale, attraverso porti capaci di accogliere i mega carichi e trovando il giusto equilibrio fra portualità tirrenica, da difendere, e portualità adriatica, da sviluppare”.
 
Scenario forse troppo estremo che facendo storcere qualche naso conferma tuttavia l’originalità di un lavoro di ricerca che Pietro Spirito, padrone di casa alla Stazione del Mare dello scalo partenopeo, presenta come “un utile contributo alla discussione su temi come la logistica, la portualità, i trasporti che sono essenziali per la competitività del paese e troppo spesso snobbati dalla politica”.
 
Molteplici i temi affrontati nel volume e dibattuti. Spicca tra questi la nuova riforma portuale che l’avvocato Francesco Munari giudica “guardando al bicchiere mezzo pieno”. “E’ positiva la fine della commistione tra regolatori e regolati presente nei vecchi comitati portuali così come la riduzione del numero delle Autorità portuali e la verticalizzazione dei processi decisionali”.
 
Più perplessità suscita invece l’idea di porto che emerge dalla normativa: “un’entità isolata dalla catena logistica nel suo complesso e sottoposta alle pressioni dei grandi player”.
 
Una condizione di fragilità che a dispetto delle ingessature burocratiche (“diversi regimi con cui confrontarsi a seconda dei diversi centri decisionali”) può essere alleviata con un utilizzo intelligente di “pratiche comuni come i protocolli d’intesa o gli accordi di programma”.
Più incentrato sullo stato dell’arte del settore l’intervento di Marco Spinedi, presidente dell’Interporto di Bologna, che rivela come ormai manifattura e logistica rappresentino attività sempre meno distinguibili.
“In un contesto sempre più caratterizzato dall’allungamento delle catene produttive e da una riconfigurazione dei processi – rileva – politica e impresa devono operare spalla a spalla”.
 
Ne nasce un’esigenza di maggior controllo sia sulle scelte strategiche di fondo sia sui capitoli di spesa che andando a finanziare le opere o le politiche di sviluppo gravano sul bilancio pubblico. “I Paesi che hanno sviluppato una politica coerente sono pochissimi. Un esempio può essere rappresentato dalla Svizzera: i suoi trasferimenti sull’intermodale ammontano a 10-20 volte il nostro ferrobonus”.
 
Di non solo container si vive. Lo conferma ancora una volta Pietro Spirito secondo cui “i porti italiani devono riscoprire la loro vocazione industriale”.
Una risposta alla tendenza all’oligopolio dello shipping internazionale (e ai condizionamenti che tale configurazione di potere può esercita su banchine e territori retrostanti) che va accompagnata anche ad una rinnovata attenzione per i traffici della autostrade del mare.
 
“Già oggi i volumi movimentati sono superiori al traffico in teus,” sottolinea Guido Grimaldi, armatore e presidente di Alis, la nuova associazione che ambisce a “mettere a sistema tutti gli operatori della filiera logistica”.
“Solo il nostro Gruppo in 10 anni ha spostato dalla strada 32 milioni di tonnellate di merci, circa 450mila camion con una riduzione dei costi che ha alimentato a sua volta la competitività aziendale e i vantaggi per i clienti finali”.
Un invito a non guardare con la “lente di ingrandimento dei teus” arrivato anche con la chiusura di Stefano Zunarelli, della Struttura Tecnica di Missione del MT.
 
“Il carattere diversificato dei traffici deve indurre ad una lettura diversificata dei livelli di interventi. La sfida per le nuove AdSP risiederà nel cogliere le opportunità di coordinamento per governare con gli interlocutori territoriali la singola forma di traffico”.

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