Duci, Gioia Tauro: “L’Italia non può non avere un porto di transhipment”

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Assemblea nazionale Federagenti – Su Gioia Tauro, parla Gian Enzo Duci presidente di Federagenti: “l‘Italia non può prescindere dall’avere un porto di trashipment  però con gli strumenti adeguati per competere con i soggetti che svolgono questa attività quanto meno a livello del Mediterraneo”.
 
di Lucia Nappi
 
ROMA – Federagenti si è riunita a Roma per l’annuale Assemblea generale, il giorno dopo l’incontro di Assoporti all’insegna della continuità. Mentre ad Assoporti si è discusso dei temi generali della portualità, l’associazione degli agenti marittimi e raccomandatari apre un focus su tre temi specifici, tre porti che rappresentano una difficoltà ma sono anche una opportunità per il sistema portuale italiano, ovvero quanto i problemi possano essere letti nella chiave dell’opportunità: Gioia Tauro, Venezia e Taranto.
Lo spiega Gian Enzo Duci, presidente di Federagenti, nel discorso di introduzione che precede le tre tavole rotonde che hanno visto confrontarsi i principali attori delle tre realtà portuali.
 
Durante la prima discussione relativa al porto di transhipment di Gioia Tauro si sono confrontati:Andrea Agostinelli commissario straordinario del porto, Michele Mumoli presidente agenti marittimi della Calabria, Bruno Dardani, giornalista tra i massimi esperti del settore e Duci nel ruolo di intervistatore.
Nell’ambito del sistema nazionale e della riforma portuale Gioia Tauro è l’unico porto in Italia ad avere caratteristiche completamente di transhipment e per il quale la riforma portuale non ha portato a compimento il proprio lavoro, quindi necessita ancora la prosecuzione della riforma portuale. 
“Il trashipment in Italia negli ultimi anni è sceso del 3,2%, questo significa che nel nostro paese dobbiamo chiudere la possibilità di fare transhipment? chiede Duci alla platea, “L’Italia non può non avere un porto di transhipment che, nella catena logistica, riveste il ruolo fondamentale di fluidificatore dei traffici”.
Secondo il presidente di Federagenti le scelte strategiche di un settore nazionale non devono essere fuorviate dal “dato di breve termine”, di qui l’esempio con il settore della cantieristica navale il cui stato di salute aveva toccato il picco più basso negli anni 80′, mentre oggi rappresenta un’eccellenza dell’industria italiana.
 
Dardani interviene specificando che Gioia Tauro deve essere guardate nell’ottica di un porto con destinazioni nazionali, ma che potrà competere con gli altri porti di transhipment del Mediterraneo, Pireo, Malta e  Algesiras, solo se avrà le condizioni, quindi attività doganali e tariffe di ancoraggio, che lo metteranno in condizione di attrarre gli armatori che necessitano di un porto hub.
Ad affrontare il problema dei controlli doganali effettuati a Gioia Tauro è il commissario Agostinelli, definito da Duci “ ultimo dei Moicani tra i commisari”  essendo il porto ancora nella fase di attesa della nomina del presidente.
 
Agostinelli mette subito il dito nella piaga: “Gioia Tauro prima era un porto di container, oggi è il porto della cocaina. L’andrangheta è il maggior commerciante al mondo di cocaina quindi Gioia Tauro è il porto della cocaina e pertanto lo scalo sconta una densità di controlli che ne rallentano l’attività commerciale“. 
Quindi l’acquisto di uno scanner mobile, per il costo di 2 milioni di euro, per rendere i controlli più veloci e penetranti. I dati parlano chiaro: 1200  al mese, 15 mila all’anno. Il problema apre quindi una discussione che coinvolge gli altri porti internazionali di transhipment:modalità  Pireo Malta e Rotterdam  In questa visione il controllo, peraltro giustissimo, ha però un impatto invasivo e dovrebbe essere esteso nelle stesse anche agli altri porti internazionali mentre i dati parlano chiaro: Pireo 7 controlli all’anno e a Malta 100. Rotterdam poi è il porto al mondo che ha il primato di questo tipo di traffici. 
1200 visite al mese fanno un danno ai traffici buoni“, dice il presidente degli agenti marittimi calabresi, “penalizzano le operazioni commerciali che subiscono un rallentamento, interrompendo la fluidità del traffico delle merci“. L’esempio portato è quello è della Nyke che un tempo sbarcava nel porto calabrese ma che aveva scelto altre destinazioni di transhipment,  chiedendolo all’armatore di non passare più da Gioia Tauro, proprio perché troppo era il tempo di transito dei container rispetto agli altri porti concorrenti. 
La tavola rotonda perviene ad una sintesi quindi il problema non sono i controlli ma le regole uguali per tutti: “Se le regole sono taroccate“, dice Dardani, “il meccanismo non funziona“.
 
Duci arriva quindi alla conclusione: “l‘Italia quindi non può prescindere dall’avere un porto di trashipment  e Gioia Tauro è l’unico porto in Italia che svolge per la totalità questo tipo di traffico, con gli strumenti adeguati per competere con i soggetti che svolgono questa attività quanto meno a livello del Mediterraneo”– Il Pireo per il 2018 ha l’obiettivo di raggiungere 5 milioni di container: “possiamo raggiungere gli stessi livelli di trafficisottolinea DuciI nostri porti come Civitavecchia e Livorno ne usufruirebbero“.
 
 
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