Nel 2018 sono transitate dal Canale di Suez 18 mila navi (+3,6%) – Effetti sul Mediterraneo

Effetti del nuovo Canale di Suez sui traffici nel Mediterraneo. Convegno “Le prospettive marittime del Mediterraneo, tra canale di Suez e Via della Seta” (centro congressi Terminal Napoli)

di Giovanni Grande

NAPOLI – A tre anni e mezzo dall’inaugurazione è possibile tratteggiare un primo quadro d’insieme sugli effetti del nuovo Canale di Suez sui traffici nel Mediterraneo. È aumentata la quantità e la natura delle merci trasportate, il numero e la grandezza delle navi, quello di nuovi servizi marittimi, compreso l’aumento dellerotte dall’Asia verso la costa orientale degli Stati Uniti. Soprattutto, il raddoppio di Suez sta contribuendo a cambiare profondamente l’assetto stesso degli assetti mondiali del trasporto marittimo, e con essi di una consistente fetta dell’economia mondiale, innestandosi all’incrocio del nuovo panorama geopolitico disegnato dall’avanzare della BRI (Belt and Road Initiative). Un’oscillazione del pendolo della storia millenaria dei rapporti tra Occidente e Oriente che chiama ad interrogarsi su quale ruolo dovrà svolgere nel futuro il sistema logistico italiano, e con esso la portualità meridionale, in particolare, immerso in un mare sempre più connotato dalla presenza ingombrante degli interessi cinesi.

E’ arrivato il momento di aprire un discorso geostrategico che riveda le nostre priorità economiche e politiche,” avverte Pietro Spirito, aprendo il Convegno “Le prospettive marittime del Mediterraneo, tra canale di Suez e Via della Seta” (centro congressi Terminal Napoli), organizzato dall’ente portuale in collaborazione con SRM, Centro Studi collegato al Gruppo intesa San Paolo. “La Cina ha bisogno di sbocchi per la sua economia. Sta attuando una strategia a tenaglia, incentrata a sud sulla via marittima, a nord sugli investimenti infrastrutturali per il trasporto terrestre”.

Alla questione, e alle conseguenze per lo sviluppo della portualità mediterranea, il presidente dell’AdSP del Mar Tirreno Centrale ha dedicato ampio spazio nel suo ultimo libro, “Il futuro del sistema portuale meridionale tra Mediterraneo e Via della Seta” (Rubbettino), presentato nel corso dell’iniziativa. Un prontuario delle sfide chi è chiamato a rispondere il nostro paese nel mutato contesto geoeconomico, alle prese con la mancanza di una strategia comunitaria nell’area, la pressoché totale assenza di iniziativa in Africa (a fronte dell’iperattivismo del Dragone), le deficienze proprie al sistema logistico nazionale. “Il completamento delle opere infrastrutturali – sottolinea Spirito – è necessario per stare sulla mappa delle rotte. Serve più integrazione logistica, con servizi competitivi su lunga e breve distanza, e un rilancio delle attività produttive perché i porti del Sud non possono puntare sul transhipment”.

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Presentato anche l’ultimo rapporto di SRM “The Suez Canal after the expansion”, caratterizzato dall’alternarsi di cifre record come quello, relativo al 2018, del numero di navi transitate (oltre 18mila, +3,6%) e di cargo trasportato (983,4 milioni di tonnellate, +8,2%). “Grazie all’allargamento – spiega Alessandro Panaro, responsabile Maritime & Mediterranean Economy, SRMla dimensione media delle navi è crescita del 12% rispetto al 2014, evidenziando che la nuova infrastruttura asseconda le esigenze del gigantismo. Suez risulta anche come terza rotta al mondo per il trasporto di petrolio e gas naturale che parte dal Golfo verso Europa e Nord America”. Ma è a livello di connettività che l’Egitto ha registrato i vantaggi maggiori.

Dall’analisi del LSCI (Liner Shipping Connectivity Index) dell’Unctad, indice che misura la competitività portuale e logistica di 157 paesi, emerge come la terra delle piramidi sia passato da un punteggio di 61,5 a 70,3 nei soli ultimi tre anni occupando il 18° a livello mondiale (l’Italia galleggia senza grandi scossoni attorno alla ventesima posizione), 3° tra i paesi Mena e 2° tra i paesi del Sud Mediterraneo.

Balzo importante che conferma l’importanza della dotazione infrastrutturale e la capacità di sfruttare strumenti per l’attrazione di investimenti come le ZES. È su questo punto che si è concentrata l’analisi di Adriano Giannola, presidente Svimez, che evidenzia la necessità di una visione “sistemica”. “Vanno inserite in una strategia unitaria italiana sul Mediterraneo. Serve una cabina di regia per evitare che le varie zone speciali (ZES e ZLS, ndr) entrino in concorrenza tra di loro e possano assolvere al meglio al ruolo di aree laboratorio per la semplificazione amministrativa e di applicazione di politiche di sostenibilità”.

Massimo Deandreis, direttore generale di SRM, e Graziano Delrio, ex ministro delle Infrastrutture e Trasporti, hanno ribadito l’importanza di una visione unitaria degli interessi del paese che con può prescindere “dalla sua vocazione di ponte tra Europa del Nord e Mediterraneo” (Deandreis) e “dal completamento di quel piano infrastrutturale da 150 miliardi già messo in cantiere e necessario come precondizione per lo sviluppo economico”.

L’avanzare della Cina nel settore portuale mediterraneo sta mettendo in crisi il sistema del Norther Range e le scelte europee così come sono state impostate fino ad ora,” conclude il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Michele Geraci.Con oltre 400 miliardi di investimenti cinesi in Africa bisogna interrogarci sul nostro ruolo e puntare a sviluppare attività di cooperazione per le nostre aziende per le necessità infrastrutturali di quell’area”. Giudizio positivo sulle anche ZES “ma a patto che non siano iniziative isolate”. “In Cina dove hanno funzionato al meglio sono state favorite dalla presenza di collegamenti efficienti e di una politica amministrativa favorevole”.

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