di Giovanni Grande
SALERNO– Pollice verso per le agenzie del lavoro costituite nei porti di transhipment (Taranto e Gioia Tauro): “precedente gravissimo che introduce un modo surrettizio di erogare la cassa integrazione”.
Giudizio positivo per quelle di Trieste e Livorno: “possibile punto di riferimento per la costruzione di un format nazionale”. Il presidente dell’AdSP del Tirreno Centrale, Pietro Spirito, mette i primi paletti sul lungo dibattito che si prefigura sull’assetto futuro dell’organizzazione del lavoro sulle banchine.
Al convegno, alla Stazione Marittima di Salerno: “La riforma del lavoro portuale”, organizzato unitamente dai due Propeller Club della Campania, Napoli e Salerno, si è discusso delle nuove disposizioni legislative in via di approvazione.
Lo schema di decreto integrativo, presentato da Delrio come “la seconda parte della riforma portuale”, che prevede l’adeguamento delle funzione del presidente dell’Autorità di sistema in materia di governance del lavoro.
Un tentativo che, avocando nella figura del presidente le funzioni precedentemente affidate all’ente portuale, cerca di colmare le lacune emerse dal profondo cambiamento di contesto degli ultimi anni, tra opportunità di sviluppo ancora incerte e “rischi di un ritorno al passato”, come denunciato da Nino Criscuolo, membro del comitato di gestione dell’AdSP del Tirreno Centrale, “con il superamento del modello portuale landlord e una conseguente debolezza negoziale rispetto agli armatori”.
“Le nuove norme – ha sottolineato Mario Sommariva, segretario generale dell’AdSP del Mare Adriatico Orientale – puntano alla ricerca di un nuovo equilibrio tra pubblico e privato. Si tratta di interventi modesti e non di sistema che sostanzialmente chiedono alle autorità una pianificazione della forza lavoro e la capacità di sporcarsi le mani monitorando in maniera seria le imprese che operano nel porto”.
Due i fattori che per Sommariva hanno stravolto il contesto, rendendo necessario nuove regole d’ingaggio. Da una parte il gigantismo navale, con la congestione degli spazi e un’oscillazione dei picchi di lavoro fino a tre quattro volte la richiesta di manodopera; dall’altra la trasformazione degli armatori in terminalisti, con la conseguente concentrazione del mercato e una polarizzazione della dialettica lavoro-imprenditore.
Una trasformazione che Franco Mariani, segretario generale di Assoporti, invita ad interpretare in maniera non univoca. Ribadendo l’importanza del contratto unico (“altrimenti si tornerebbe agli anni ‘70”), il ruolo di controllo dell’AdSP (“perseguire i falsi art.16”) e la necessità di evitare un’eccessiva conflittualità (“ne va della competitività e della affidabilità di un sistema”) ha esortato, nonostante le perplessità sull’impianto legislativo, a “non ingessare le cose ma a rispondere alle esigenze”. “Laddove c’è bisogno di occupazione – ha proposto – si potrebbe attingere manodopera dai porti in crisi”.
All’impatto sociale dell’organizzazione del lavoro in porto guarda invece
il segretario generale dell’AdSP del Mar Tirreno Centrale, Francesco Messineo. “Nei porti esiste una robusta regolamentazione, il sistema è più regolato che in altri settori”.
Fermo restando che la crisi si è sentita “laddove, cambiata la domanda, non si è riusciti a rispondere alle nuove esigenze” il rischio maggiore è che gli scali si trasformino “in un fortino assediato dalla deregolamentazione del lavoro esistente fuori il loro perimetro”. “Piuttosto che guardare all’interno bisognerebbe portare la battaglia all’esterno”.
Da qui, sulla scorta della esperienza alla guida dell’Ap di Massa Carrara, la proposta di Mesineo di guardare allo sviluppo di “settori di nicchia con ricadute importanti sulla filiera economica del territorio”.
“I porti non possono essere considerati solo luogo di transito ma territorio che mette insieme accessibilità e opportunità per portare i massimi risultati possibili non in termini di tonnellate merci ma di posti di lavoro stabili”.
Chiude Pietro Spirito che ha denunciato gli enormi ritardi sulla questione formazione. “Le forti trasformazioni tecnologiche rappresentano una sfida cui non ci stiamo preparando.
Manca un percorso sull’individuazione delle figure nuove di cui avremo bisogno e di quelle vecchie che bisognerà rimpiazzare”. “Su questo – ha continuato – va costruita una strategia comune, evitando di concepire la formazione come un modo surrettizio di elargire aiuti economici.
Le agenzie del lavoro del transhipment a Taranto e Gioia Tauro, pur rispondendo a una situazione di difficoltà, stanno introducendo un pericolosissimo precedente: il rischio è che nei momenti di crisi la parte pubblica debba accollarsi gli esuberi dei terminalisti”. Una iattura da evitar e innanzitutto“creando condizioni in cui i porti allarghino il perimetro delle attività”. Il primo passo? “Regole a livello nazionale. Trieste e Livorno – ha concluso – potrebbero rappresentare i format su cui plasmare un nuovo modello operativo nella gestione del lavoro temporaneo”.