Porti Alto Adriatico e i cambiamenti geopolitici e geoeconomici globali – Adria Shipping Summit

Adria Shipping 2025
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Venezia, – Si è chiusa a Venezia, presso l’Auditorium Santa Margherita – Emanuele Severino dell’Università Ca’ Foscari, la seconda edizione dell’Adria Shipping Summit, intitolata Il futuro dell’Adriatico negli scenari globali.

Il summit si è svolto in un momento cruciale, mentre è in pieno sviluppo l’ampio piano di rilancio infrastrutturale e ambientale che mira a rinnovare e rilanciare il sistema portuale di Venezia e degli altri porti dell’Alto Adriatico (Ravenna e Trieste) con diversi miliardi di euro di investimenti già in corso da diverse fonti, pubbliche e private, di cui oltre un miliardo solo sulla Laguna.

Il quadro fornito dai relatori che si sono succeduti sul palco e collegati da remoto nelle quattro sessioni del programma è stato variegato e complesso almeno come sono in questo momento lo stato dello sviluppo locale e il contesto internazionale.

Oggi dai porti dell’Alto Adriatico passa un quarto delle merci implicate nel commercio internazionale dell’Italia e in special modo la maggior parte delle materie prime di ogni tipo che fa funzionare la macchina economica dell’Italia del Nord. Ogni cambiamento o crisi che impatta sull’entrata e l’uscita da quei porti ha una rilevanza immediata che va bel oltre quella sullo stato economico delle economie portuali direttamente interessate. Come hanno ricordato i relatori del panel dedicato alla geopolitica che ha aperto i contenuti del summit, la porta dell’Adriatico non sta nel Canale d’Otranto e nemmeno a Suez, ma a Bab-el-Mandeb, in ogni caso aree non sotto il controllo italiano. Lo stesso si può dire per le origini delle merci, come è emerso in modo plastico allo scoppio della guerra russo-ucraina, che ha mandato in crisi non solo il traffico delle rinfuse solide inerti e dei semilavorati di acciaio a Ravenna, ma anche il settore della ceramica emiliano-romagnola, che faceva conto su argilla, feldspati e altri minerali provenienti dall’Ucraina e fondamentali per la produzione di fascia alta. Ma se le crisi confermano l’interdipendenza economica globale, allo stesso modo fanno emergere con chiarezza come il nostro Paese è stato in grado di assorbire e superare gli shock esogeni registrati negli ultimi anni e che tutt’ora persistono (dalla pandemia alle tensioni internazionali, dalla minaccia dei dazi alle guerre in corso) proprio in quanto ha potuto contare sulla resilienza della portualità nazionale (e dell’Adriatico in questo caso).

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Anche le traiettorie industriali interne all’Italia hanno un influsso molto rilevante sulle vocazioni dei singoli porti. Un esempio si riferisce proprio a Venezia e alla sua vocazione di porto energetico, dove la sola decisione presa alcuni anni fa del maggior produttore chimico italiano, che ha deciso di abbandonare la produzione di polipropilene, seguita dalla conversione della raffineria, ha impattato in modo forte sui carichi di greggio in arrivo sulla Laguna.

Non tutti i fenomeni che avvengono fuori dal perimetro adriatico hanno influssi negativi sui porti alto-adriatici. Un esempio è la triplicazione negli ultimi due anni della percentuale dell’LNG sul totale delle importazioni di gas naturale in Italia, che potrebbe aprire prospettive anche per la riesportazione. Già oggi dal porto di Trieste passa l’intero fabbisogno di greggio dell’Austria e un terzo di quello tedesco, mentre il Porto di Venezia è sulla strada di rivendicare il proprio ruolo energetico grazie alla spinta verso l’idrogeno come vettore energetico per l’industria e la propulsione marina.

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